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Lettera al ministro

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I Paesi che spendono di più nel settore sono gli Usa, il Regno Unito, la Francia, la Germania, il Giappone, la Cina e la Corea del Sud. Sette Paesi che coprono da soli il 71% degli investimenti globali in R&D.

Ma questi investimenti crescono con particolare rapidità in Asia, e in modo spettacolare in Cina, il secondo Paese al mondo per quantità di soldi investiti in ricerca subito dietro gli Usa, con una cifra pari a quella di Germania, Francia e Italia messe assieme. La conquista del secondo posto da parte della Cina è la conseguenza dell’impressionante crescita di investimenti a tutto campo fatti nel settore della ricerca e sviluppo negli ultimi dieci anni, una crescita superiore addirittura a quella del suo Pil. L’intensità degli investimenti in ricerca è raddoppiata in Cina tra il 1999 e il 2009, raggiungendo l’1,7 per cento, più o meno la stessa percentuale del Regno Unito.

Gli investimenti in ricerca aumentano anche per altri Paesi asiatici, in particolare in Corea, mentre resiste anche la fortezza giapponese.

Gli obiettivi del fallimentare processo di Lisbona sono stati posticipati addirittura di un decennio, dal 2010 al 2020. I paesi dell'UE dovranno investire, da qui al 2020, il 3% del PIL in R&S (1% di finanziamenti pubblici, 2% di investimenti privati) con l'obiettivo di creare 3,7 milioni di posti di lavoro e realizzare un aumento annuo del PIL di circa 800 miliardi di euro.
Inoltre, nei paesi dell'Unione europea il 45 per cento degli investimenti in ricerca e sviluppo sono pubblici. Lo stesso non accade negli Stati Uniti, dove la percentuale si ferma al 33 per cento, e nemmeno in Corea del Sud o Giappone, dove non arriva al 30 per cento

L'obiettivo del 3 per cento, fissato nel 2000 al vertice di Lisbona per la fine del primo decennio del nuovo secolo, non è stato raggiunto a causa di Paesi con punteggi bassi, come Spagna e Italia. I ventisette investono ancora soltanto il 2,01 per cento del pil in ricerca e sviluppo, mentre l'obiettivo è quello di arrivare al 3 per cento. Tra i vari paesi si registrano comunque sensibili differenze: la Finlandia, che guida questa classifica, può vantare una spesa del 4% rispetto al proprio PIL, seguita da Svezia (3.5%) e Danimarca (3%).
Benché a partire dal 2010 alcuni paesi europei abbiano cercato di controbilanciare la crisi investendo in Ricerca e Sviluppo, l'Italia investe (pubblico + privato) l'1,25% del PIL (dato 2011), certo di più rispetto allo 1,08 del 2001, ma ancora poco in termini assoluti se raffrontato a paesi che hanno deciso di investire davvero in ricerca. L’Italia si trova solo al diciassettesimo posto dopo Spagna e Portogallo [dati Eurostat 2010].
A pesare sul trend negativo italiano è il calo dei fondi pubblici che nel 2011 sono stati 8,9 miliardi, «con un'evidente riduzione di disponibilità - scrive l'Istat- rispetto agli anni più recenti (9,5 miliardi nel 2010 e 9,8 nel 2009)». Le imprese investono oltre 10 miliardi, ma - e qui è l'altra debolezza italiana - ben il 70,4% degli investimenti arriva dalle grandi imprese. Mentre resta bassa l'incidenza delle medie (20,1%) e delle piccole (9,4%).
Nonostante l'Italia investa poco in ricerca, i suoi ricercatori si difendono, almeno a giudicare dal numero di pubblicazioni citate a livello internazionale.

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